ASSEGNO DIVORZILE IN UN’UNICA SOLUZIONE

Il divorzio provoca lo scioglimento del rapporto coniugale. L’istituto però non estingue definitivamente tutti gli effetti del matrimonio. A tutela del coniuge più debole residuano limitati diritti patrimoniali di natura successoria, previdenziale e assistenziale tramite il riconoscimento dell’assegno di divorzio.
Esso può essere corrisposto mensilmente o in un’unica soluzione (una tantum).
Può anche accadere che le parti si accordino diversamente e che l’importo una tantum sia sostituito da beni (case, fondi, titoli, automobili, ecc.).

Nel momento in cui il coniuge più debole decide di accettare l’assegno divorzile in un’unica soluzione deve essere consapevole delle conseguenze positive e negative che derivano da questa scelta. L’assegno una tantum ha il vantaggio di porre fine ai rapporti economici tra coniugi, che quindi restano legati solo se hanno avuto figli. L’assegno in unica soluzione produce infatti un effetto tombale. Chi lo accetta non può avanzare in futuro ulteriori richieste economiche (aumento dell’assegno, quote TFR, quote pensione reversibilità e somme a carico dell’eredità). Chi lo versa non può chiedere la riduzione dell’importo o avanzare domanda di restituzione delle somme concordate e stigmatizzate nella sentenza di divorzio.

Come si calcola l’assegno una tantum?
L’assegno in una unica soluzione è frutto della libera contrattazione delle parti, per questo non esistono regole per determinarne l’entità, ma criteri utili ai fini del calcolo:

–  l’assegno una tantum, in via teorica, dovrebbe corrispondere a una somma che, se investita, sia in grado di coprire interamente  i bisogni ricollegabili all’aspettativa di vita media di 85 anni per le donne e 80,2 per gli uomini;

– eseguito questo calcolo base, l’importo può essere aumentato o diminuito tenendo conto: 1) dell’età di chi deve versarlo e di chi deve riceverlo; 2) del passaggio a nuove nozze o convivenza del coniuge che ne ha diritto; 3) della potenziale evoluzione lavorativa ordinaria di entrambi coniugi; 4) del TFR maturato al momento del divorzio; 5) di altri fattori che potrebbero condizionare la misura dell’assegno.

Giurisprudenza
Cass. civ. Sez. lavoro, 05/05/2016, n. 9054: “In tema di divorzio, qualora le parti, in sede di regolamentazione dei loro rapporti economici, abbiano convenuto di definirli in un’unica soluzione, come consentito della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 8, attribuendo al coniuge che abbia diritto alla corresponsione dell’assegno periodico previsto nello stesso art. 5, comma 6, una determinata somma di denaro o altre utilità, il cui valore il Tribunale, nella sentenza che pronuncia lo scioglimento del matrimonio, abbia ritenuto equo ai fini della concordata regolazione patrimoniale, tale attribuzione, indipendentemente dal nomen iuris che gli ex coniugi le abbiano dato nelle loro pattuizioni, deve ritenersi adempitiva di ogni obbligo di sostentamento nei confronti del beneficiario, dovendosi, quindi, escludere che costui possa avanzare, successivamente,ulteriori pretese di contenuto economico e, in particolare, che possa essere considerato, all’atto del decesso dell’ex coniuge, titolare dell’assegno di divorzio, avente, come tale, diritto di accedere alla pensione di reversibilità o (in concorso con il coniuge superstite) a una sua quota”.