Vicinato rumoroso

Quella dei vicini rumorosi rappresenta un problema assai diffuso. Schiamazzi, radio o televisione ad alto volume, feste fino a tarda notte, rumori intollerabili durante il giorno oppure durante le ore di riposo, tutte situazioni idonee a infastidire e a recare disturbo a chi studia, lavora o riposa.

Per ottenere la cessazione di simili atteggiamenti la prima cosa da fare è la strada del buonsenso. Per chi vive in condominio si potrà trovare un primo aggancio all’interno del proprio regolamento condominiale che spesso contiene prescrizioni inerenti le fasce orarie in cui non sono consentiti rumori molesti, oltre che disposizioni che disciplinano la segnalazione dei vicini rumorosi. Si fa in modo così di risolvere la situazione all’interno dell’ambito condominiale, attraverso una “mediazione” tra gli interessi dei singoli in conflitto ed eventualmente con l’intervento dell’amministratore il quale è garante del rispetto del regolamento condominiale.

Qualora non si ottenesse una soluzione, potrebbero rendersi necessarie misure più drastiche.

 

Tutela in sede civile

In caso di insuccesso ad una risoluzione in ambito condominiale, si profila la strada della tutela civile per chiedere l’inibitoria, ovvero la cessazione dei rumori, o anche, ex art. 2043 c.c., il risarcimento dell’eventuale danno provocato dalle immissioni moleste.

Il codice civile tutela sì dalle immissioni rumorose, ma solo qualora queste superino la soglia della “normale tollerabilità” avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi (art. 844 c.c.).

Il concetto di normale tollerabilità però non ha valore assoluto, nonostante siano presenti specifiche leggi in materia di inquinamento acustico, che prefissano determinati limiti in decibel che, se superati, determinano l’illegittimità dei rumori. Indubbiamente, se le immissioni acustiche superano, per la loro particolare intensità e capacità diffusiva, la soglia di accettabilità prevista dalla normativa a tutela di interessi della collettività, a maggior ragione le stesse, ove si risolvano in immissioni nell’ambito della proprietà del vicino, dovranno per ciò solo considerarsi intollerabili ai sensi dell’art. 844 c.c. e saranno illecite anche sotto il profilo civilistico. Nel caso siano inferiori a tale soglia non saranno però da considerare automaticamente lecite, lo ha ricordato la Corte di Cassazione con la Sent. n. 2757/2020.

Chiarisce la Suprema Corte che il giudizio sulla loro tollerabilità dovrà essere formulato in relazione alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia da quel complesso di suoni di origine varia e spesso non identificabile, continui e caratteristici del luogo, sui quali vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (c.d. criterio comparativo).

Si tratta, dunque, di giudizio “caso per caso” e spetterà al giudice di merito accertare in concreto gli accorgimenti idonei a ricondurre tali immissioni nell’ambito della normale tollerabilità. Quanto all’accertamento del giudice, non si ritiene indispensabile l’espletamento di una consulenza tecnica, potendo il giudice utilizzare ogni elemento di prova, comprese presunzioni o prove testimoniali.

Ovviamente sarà onere dell’attore dimostrare il superamento del limite di normale tollerabilità e, qualora si intenda richiedere il risarcimento danni, il nesso di causalità tra i rumori molesti e i danni subiti a causa della prolungata esposizione.

 

Tutela in sede penale

I rumori molesti possono integrare anche un’ipotesi di reato, quella prevista dall’art. 659 del codice penale (Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone): il comma 1, sanziona chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone. Si tratta di un reato procedibile d’ufficio.

Affinché la condotta assuma rilevanza penale, è tuttavia necessario che i rumori arrechino disturbo a un numero indeterminato di persone, avendo il legislatore inteso tutelare l’interesse alla pubblica quiete. Non sarà dunque sufficiente che i rumori disturbino il solo vicino che abita nell’appartamento adiacente oppure quello dell’appartamento sottostante o sovrastante, dovendo invece interessare una più consistente parte degli occupanti il medesimo edificio. La Corte di Cassazione con la Sent. n. 8351/2015, ha precisato che quello in oggetto è un reato solo eventualmente permanente, che si può consumare anche con un’unica condotta rumorosa o di schiamazzo recante, in determinate circostanze, un effettivo disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone. Infine, non è necessaria la prova che il rumore abbia concretamente molestato una platea più diffusa di persone, essendo sufficiente l’idoneità del fatto a disturbare un numero indeterminato di individui.

Anche in questa sede la Suprema Corte ha precisato che il giudice non dovrà necessariamente espletare perizia o consulenza tecnica, ma potrà fondare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura, ad esempio le dichiarazioni di coloro che sono in grado di riferire le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti.

 

La presente disamina è stata sviluppata con necessità di sintesi, non può pertanto considerarsi completa e soprattutto aderente alla singola eventuale casistica che dovrà essere compiutamente analizzata e sviluppata sia in fatto che in diritto tramite effettiva consapevolezza di tutti i fattori ricorrenti nel singolo caso.

Avv. Emanuele Ornaghi